MICHAEL DANIELS UN FRATE IN DISCOTECA
Canta, balla, trascina a suon di musica i giovani nelle sue serate "Spirit in dance" in discoteca.
"Il mio motto - dice - è seminare senza pretendere di raccogliere".

di Nicoletta Pasqualini

Ci arriva incontro di corsa, alto, dinoccolato, magrissimo, con un gran sorriso ed un cordiale “Pace e bene”, tenendo stretta nella mano una busta di nylon con la spesa di detersivi appena fatta. “Servono per la pulizia dell'ambiente. La faccio con i nostri ragazzi”.

Padre Michael Daniels si occupa anche di questo nel seminario francescano dove vive nella piccola cittadina di Lonigo, poco distante da Vicenza. Conosciuto come “dj di Dio” che ha raggiunto le cronache per le sue serate in discoteca promuovendo la “Discoteca Cristiana”, fra' Michael prima di tutto è - ci tiene a dirlo - un frate minore che si occupa della vita quotidiana del seminario e dell'educazione dei suoi ragazzi.
Saliamo su per l'enorme scala che ci inoltra in un labirinto di stanze. Finalmente arriviamo ad una porta, è quella del suo studio. Una piccola scrivania sommersa da libri e CD in gran parte di disco music cristiana: “Un genere che in America ha il suo pubblico”, ci spiega. In un angolo un tavolino e un piccolo divano - circondato da oggetti provenienti dai vari continenti - dove giornalmente fra' Michael incontra molte persone che hanno bisogno di un consiglio, o anche solo di confidarsi con lui.
Cerco di capire chi è questo “frate della discoteca” pensando a cosa avrà mai di tanto speciale. E scopro che forse il suo segreto è proprio questo: non propone cose straordinarie ma ai giovani, anche in discoteca, parla di Dio con semplicità e con un grande sorriso, con il suo modo gioviale di accogliere carico di positività, facendo sì che siano i ragazzi a diventare persone speciali, protagonisti della loro vita partendo anche da una serata. “Ho la consapevolezza, come dice il Vangelo, di essere servo inutile. Vorremmo vedere dei risultati e invece bisogna lasciare che sia Dio a dare i tempi. Questa esperienza la vivo con molta umiltà e come tempo extra dal seminario che rimane il mio impegno principale”.

Michael Daniels è americano del New Jersey. Nella sua infanzia ha praticamente girovagato per mezzo mondo con la famiglia per seguire il papà nativo della Georgia, uno degli stati del sud degli U.S.A., militare N.A.T.O. per 23 anni circa.
A Parigi suo padre incontra la futura moglie, che all'epoca lavora come segretaria per gli statunitensi. Il padre, vedovo, aveva già due figli. “Io non li ho mai considerati fratellastri ma fratelli. Mia mamma accolse loro e ne generò altri tre, tra i quali me”.
Alla madre riconosce un ruolo importante. Figlia di pastori poverissimi migrati in Francia dalla Val D'Aosta, ha saputo vivere bene ogni trasferimento del marito e rendere positiva tutta la sua esperienza. “Una donna molto credente e questo è ciò che più conta. C'era Dio nella sua vita e ce l'ha trasmesso”.
In questo ambiente multiculturale cresce Michael, oggi 37enne e frate dal 1997, una vocazione maturata tardi, alla fine dell'università.
Poi il conflitto nel Vietnam segna un altro cambiamento per la famiglia. Sono gli anni '70. Il padre parte per la guerra, la madre in America con 5 figli si trova sola. I genitori paterni arrivano dall'esperienza dello schiavismo: le leggi razziali sono state da poco abolite ed una coppia mista non è molto ben vista. La famiglia riparte nuovamente ed arriva in Italia, in Val D'Aosta, dai nonni materni. Solo mentre mi parla delle leggi razziali mi rendo conto che il colore della sua pelle è un po' scuro.
Vicenza è l'ultima tappa del peregrinare della famiglia, anche lì c'è una base N.A.T.O. che suo padre deve raggiungere. La famiglia inizia a mettere radici.
Dopo aver studiato agraria il giovane Michael frequenta veterinaria all'Università di Parma. “Durante questi studi mi sono molto arricchito con persone di altre culture, razze, religioni con cui ho vissuto. Un ambiente che mi ha rafforzato, tanto più oggi giorno dove c'è bisogno di una cultura aperta e non di fondamentalismi”.
Poi la chiamata…
Ma facciamo prima un passo indietro.

Come hai vissuto il fatto di avere il papà in guerra?
“Ero piccolo e non ho ricordi in cui mi venisse parlato di ciò che papà stava facendo, dov'era. Mia madre non faceva filtrare il fatto che il papà era in una guerra atroce. Solo crescendo ho recuperato il significato di quella vicenda triste non solo per gli Stati Uniti ma anche per il Vietnam.”

Lo schiavismo invece?
“Quello l'ho assaporato quando sono ritornato in Georgia dai parenti nell'84 ed ho scoperto tutta la storia che stava alle spalle di mio papà. Il luogo nativo, le case costruite nel periodo della segregazione con tutti i neri da una parte ed i bianchi da un'altra. Ho recuperato una parte della loro vita di cui non parlano.
Per la famiglia di mio padre è normale aver vissuto in quella parte della città, segregati. Mio fratello più vecchio ha studiato ma al college dove vanno tutti neri, e così sono ancora molte università negli Stati Uniti. Ancora nell'84 nei negozi leggevo: “Entrata per soli bianchi” o “Solo per neri”. Ho capito allora perché mio papà negli anni l'ho visto così taciturno, chissà cosa ha vissuto che io non sapevo, perciò ho scelto di non giudicarlo mai. Oggi sono iper contento di com'è perché attraverso la mia esperienza di frate vedo il volto che avrei voluto di mio papà che forse attendeva anche il mio contributo. Questo per me è un motivo di gioia e di serenità. Vedere che i miei stanno invecchiando riconciliati con il loro passato”.

Quando hai scoperto di voler fare il frate?
“Il primo germe di vocazione l'ho avuto alle medie con un episodio che preferirei non raccontare in cui leggo una sua forte presenza nella mia vita che in quel momento è sfociata in un grande amore e rispetto per Dio. Per cui io non ho vissuto tutta l'adolescenza come una fase negativa e di lotta con Dio. Al contrario, ero un fanatico per Dio.
Ad esempio io facevo atletica e sarei andato forse alle olimpiadi, ma poi ho rinunciato proprio perché non condividevo la mentalità con cui, anche nel mondo dello sport, si gestiva la persona umana: il forte arrivismo non rispecchiava il Vangelo. Ero più appassionato di Dio ed ero disposto a rinunciare per andare dove il Signore era più presente.
Anche gli studi universitari li scelsi tenendo presente questo. Scelsi veterinaria con l'obiettivo di fare il missionario laico a servizio dei paesi in via di sviluppo. Non sapevo ancora con chi, ma ciò che avrei imparato l'avrei usato per vivere un'esperienza all'estero.
Invece durante l'università ho conosciuto i frati. Una mia amica continuava a dirmi che a Lonigo dai frati c'erano degli incontri stupendi. “Se tu ci fossi stato, se tu ci fossi stato…”, ripeteva.
Finalmente un weekend andai. Nel gennaio del '91 sono entrato in convento sull'isola di San Francesco del Deserto e oggi sono qui”.

Com'è la tua giornata tipo?
“6.45 sveglia dei ragazzi, preparo la loro colazione. Preghiamo insieme. Sistemano le stanze, fanno colazione e partono per la scuola. Mi divido tra i lavori materiali che nel seminario sono tanti, essendo una struttura grande, e l'educazione dei ragazzi: 9 seminaristi delle medie dagli 11 ai 14 anni. Celebro quotidianamente la Messa e non manca mai nella mia giornata la preghiera proprio per non essere assorbito dal fare, dalle cose, ma dall'essere: ciò che voglio essere nel fare le cose. Il mio impegno principale è oggi accogliere gente in questo luogo, gente che vuole parlare con me per vari motivi”.

Come mai la maggior parte dei ragazzi dopo aver fatto la Cresima abbandona la Chiesa?
“Per non togliere la parola ai ragazzi bisognerebbe chiederlo a loro…
È il sacramento della maturità cristiana e si scopre che è il sacramento dell'abbandono. Perché non riusciamo a farli innamorare di Cristo? Di fondo è che non sono innamorati del mistero che è il volto di Cristo. Bisognerebbe che i catechisti e i sacerdoti verificassero il cammino personale dei ragazzi. Io ho avuto la testimonianza di mia madre che è stata potente e quella per me è stata la più grande catechesi della mia vita. Poi ho scoperto che Cristo attraverso mia madre stava agendo. Anche la famiglia educa all'amore a Cristo. Ci sono strade che non vengono ancora infilate dai nostri credenti. Le segnaletiche ci sono ma non vengono seguite. Siamo un po' tutti responsabili.”

Oltre ad essere coinvolto con i ragazzi di giorno, sei andato a cercarli anche di notte. Come mai?
“Già durante l'estate del 1999 ero andato in discoteca per parlare con i giovani. Poi un giovane è venuto da me in confessionale. Erano i primi mesi del mio sacerdozio a Peschiera del Garda. Lui proveniva da una vita dove i weekend erano stati vissuti a suon di discoteche. In quel momento era un convertito e sentiva il bisogno di dirlo. Da quell'incontro è nata un'intuizione e con il gruppo di preghiera che lui frequentava abbiamo iniziato l'esperienza della “Discoteca Cristiana”.
Amo prima di giudicare questa gioventù che manca per mille motivi. Bisogna andarli a cercare i giovani perché noi li abbiamo battezzati, li abbiamo cresimati e non è possibile che un pastore non si preoccupi per chi è fuori casa. Allora la dimensione missionaria, come il Papa insiste, è una necessità nel modo di essere sacerdoti e cristiani in genere. L'annuncio, la ricerca dell'altro, questo che faccio è solo un modo per andare in cerca di una fetta di gioventù. Perché non tutti vanno in discoteca, però una grossa fetta è lì, nella discoteca.”

In quell'ambiente cosa hai trovato?
“Ho trovato persone con vari tipi di domande, di posizioni interiori, da quelli che non hanno nessuna domanda apparente rispetto a Dio, a quelli che ce l'hanno più manifesta ed esplicita, a quelli che son lì per vivere in modo allegro la serata senza eccessi. Di tutto.
Con questa umanità, in maniera strettamente missionaria, sono entrato in punta di piedi, come “centro d'ascolto”. La mia persona era lì per accogliere chi mi avvicinava, anche chi mi derideva o mi insultava. Andando in anticipo, incontravo tutte le persone che contribuivano all'ambiente, che sono fondamentali perché offrono i servizi. È chiaro che i consumatori ricevono ciò che viene offerto: se tu a un giovane offri alcol anche se è ubriaco è evidente che a te interessano i soldi e non la sua vita. L'orario poi era devastante e questa è una cosa che io stigmatizzo. Quindi sono passato alla parte propositiva con l'aiuto del giovane incontrato nel confessionale.”

Così hai deciso di condurre la discoteca a modo tuo…
“Io non faccio la guerra alle discoteche perché sono in un'ottica positiva. Io vado in discoteca per dire che Cristo ti ama. Questo è il messaggio di fondo: Dio ti vuole bene. Il giovane può essere scioccato o meno ma quando gli viene dato un annuncio del genere deve confrontarsi con se stesso anche se è un arrabbiato con Dio. Come fa Dio a parlarti se non ti vuoi bene, se fai scelte devastanti per la vita?
Queste serate vogliono dirti che Dio ti vuole bene ma che devi darti un tempo sano per vivere la dimensione ludica. Danzare è bello, io stesso conduco dei balli. È una dimensione profondamente umana. In tutte le culture, addirittura in Chiesa, in quasi tutti i continenti - fuorché da noi - si danza. Ma è bello finché è fatto in modo costruttivo per l'uomo, dove spirito e danza - 'spirit in dance', è il titolo delle serate che propongo - possono essere vissuti bene, senza avere eccessi negativi.”

Musica e danza sono i tuoi segreti?
“I giornali scrivono sempre questi ingredienti definendomi il “dj di Dio”, oppure il “ballerino di Dio”. Ma il vero segreto è che io prendo il Vangelo sul serio.”

Come sono strutturate queste serate in discoteca?
“Le serate che io propongo sono molto semplici. Si aprono con un concerto dal vivo dei “Gospel 'n' dance”, un gruppo che danza e canta proponendo canti di cultura cristiana anche di altre tradizioni. Poi ci sono degli ospiti per valorizzare il mondo marginale nella Chiesa, persone che possono essere credenti o non credenti che hanno qualcosa da esprimere. Ad esempio se sono giovani da strada, invece che sprayare i muri prepariamo dei pannelli dove fanno quella sera un'opera d'arte, anziché criminalizzarli. Oppure se sono quelli che fanno break dance, portano un CD e ballano davanti a tutti, proprio come espressione artistica. Poi c'è il messaggio centrale che io offro e una parte di disco music cristiana.”

Non c'è il rischio che nella discoteca cristiana ti seguano solo i soliti ragazzi tutto casa e chiesa?
“Credo che raggiungiamo i distanti per contagio. Io raggiungo i “casa e chiesa” per primi, ma i “casa e chiesa” vanno a scuola e hanno anche delle compagnie che non sono solo “casa e chiesa”, e questi annunciano ai loro compagni di scuola, alla loro compagnia. Alcuni vengono anche per curiosità, perché magari hanno visto me sui giornali o in televisione. Dio tocca, pone delle domande, anche se c'è il rischio che dopo si ritorni nella routine. È l'occasione per ripensare a determinati messaggi: gestire bene il proprio tempo, avere una propria personalità e non essere schiavo nel branco.”

Ti sembra di vedere dei risultati?
“Il mio motto è seminare senza pretendere di raccogliere. Ho la consapevolezza, come dice il Vangelo, di essere servo inutile. Vorremmo vedere dei risultati e invece bisogna lasciare che sia Dio a dare i tempi. Questa esperienza la vivo con molta umiltà e come tempo extra dal seminario che rimane il mio impegno principale.”

Ti senti un missionario?
“Sono pronto per andare in missione, il prossimo anno, in Guinea Bissau. Un desiderio che covo da sempre.
Andare là semplicemente, in uno dei paesi più poveri del mondo, per continuare a vivere il Vangelo. Senza considerarlo più vero là che qua, perché tutto è missione. Sono sempre in missione non per quello che faccio ma per come sono dentro. Sento Dio in missione con me, annunciato 2000 anni fa ma che deve convertirmi quotidianamente e lo stesso dinamismo è con tutti.
Se Dio è missionario sempre, fino alla fine dei tempi, noi lo siamo continuamente, perché siamo in conversione continua e in più vorremmo che altri partecipassero del bene che noi abbiamo conosciuto che si chiama Dio, si chiama Gesù Cristo.
Per il resto io sono solo un frate minore

La discoteca cristiana di Fra' Michael
Spirit in dance è il nome del progetto di "discoteca a misura d'uomo" lanciato da Fra' Michael Daniels.
"Hai proprio bisogno di volumi alti, di pastiglie che ti facciano sentire un altro, di ubriacarti? – dice il frate all'indirizzo internet www.spiritindance.com  -. Si è convinti che se non c'è alcool non c'è festa, invece in questo tipo di proposta si vuol dimostrare proprio il contrario e cioè che ci si può divertire benissimo anche senza il suo utilizzo. Durante la festa ci sono anche dei momenti propositivi: il gruppo "live", ad esempio, che ad inizio serata aiuta a coinvolgersi ed è l'espressione di come i giovani si esprimano con la musica; ci sono delle testimonianze e delle proposte concrete di attività nelle quali, se qualcuno lo desidera, può rendersi utile al prossimo; infine è bello incontrarsi anche dietro ad un buon piatto di spaghetti per favorire così lo stare in compagnia".
Nel sito si possono trovare – oltre che una presentazione di fra' Michael, dell'iniziativa e delle persone e gruppi musicali che collaborano - le foto delle serate, le date dei prossimi appuntamenti, proposte musicali alternative e uno spazio per le opinioni che arrivano via e-mail.