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Galileo Galilei
La nascita del pensiero scientifico moderno

di Davide Bucci
Introduzione
Galileo Galilei è un personaggio al quale la cultura scientifica moderna deve certamente moltissimo; forse è stato uno dei primi scienziati –i quali all’epoca si definivano “filosofi della natura”– ad aver inteso veramente la scienza non più in termini qualitativi, ma in una visione quantitativa dalla quale la matematica non poteva essere esclusa. Ecco cosa viene detto in proposito da A. Einstein e L. Infeld su di un loro classico libro di storia della fisica: “La scienza collegante teoria ed esperimento non data realmente che dagli scritti di Galileo”. Prima di lui, l’astronomia  e gli eventi naturali venivano spiegati in termini aristotelici, ossia secondo un corpus di dottrine che Aristotele aveva presentato in alcuni libri fra i quali il De caelo. La fisica aristotelica concepiva una descrizione del mondo in termini antropocentrici ed abbastanza legati alle esperienze comuni che si presentano ai nostri sensi, in particolare, la fisica era in gran parte legata allo studio del moto dei corpi solidi che venivano classificati in “leggeri” o “gravi” a seconda della loro naturale tendenza verso l’alto (il vapore, il fumo) oppure verso il basso1.
 L’assunto fondamentale che spiegava i movimenti dei corpi era poi quello che lo stato di moto di un corpo è determinato dalla presenza di una forza che vi agisce; esaurito l’effetto di tale “forza” si perviene in breve tempo alla quiete, la quale competeva alla natura dell’oggetto stesso; per problemi quali l’inerzia, erano state proposte da commentatori di Aristotele teorie che concepivano la presenza di un certo qual “impeto” nel momento in cui la forza cessa di agire e che però si esaurisce poco dopo. La concezione dei cieli adottata era quella geocentrica fornita dal grandissimo astronomo alessandrino Tolomeo (ca 100-170) nell’Almagesto e consentiva invece di effettuare dei calcoli sufficientemente precisi come la predizione delle eclissi e le posizioni dei pianeti; l’astronomia tolemaica fondata sui principi aristotelici è quella descritta da Dante nella Divina Commedia. La terra veniva posta al centro dell’universo, ed era vista però come un oggetto assai poco nobile; essa è infatti popolata da creature mortali ed è corruttibile per sua natura in contrasto con il meccanismo dei cieli immutabili ed incorruttibili e perciò degni degli dei. 
Attorno alla terra, venivano messi in rotazione i pianeti incastonandoli in tante sfere cristalline le quali si pensava che scorressero perpetuamente una dentro l’altra come un complesso meccanismo ad orologeria senza attrito; al di là delle sfere dei pianeti e del sole esisteva un’ultima grande sfera delle stelle fisse che ruotando forniva la spiegazione dell’alternarsi del giorno e della notte.

La Terra e le sfere celesti, una raffigurazione da Les échecs amoureux, codice miniato degli inizi del XVI secolo.
Situazione storica all’epoca di Galileo
La vita di Galileo si svolse in un epoca in cui l’Italia stava uscendo dal Rinascimento, un periodo di notevole fermento intellettuale; lo stesso anno della nascita dello scienziato (1564) vide la morte di Michelangelo Buonarroti e, in Inghilterra, la nascita di Shakespeare. L’Italia, dalla pace di Cateau Cambrésis (1559) fino alla pace di Vestfalia (1648) attraversò un periodo di soggezione sia diretta che indiretta al grande peso politico della Spagna, la quale iniziò a formarsi un vastissimo impero coloniale oltreoceano.
Nell’Italia di quel periodo figurarono in particolare la Repubblica di Venezia, lo Stato sabaudo che acquistò crescente importanza (la capitale venne trasferita da Chambéry a Torino) con Emanuele Filiberto duca di Savoia (1553-1589), la Toscana dei Medici e lo Stato pontificio, mentre tutto il meridione era sotto una pesante influenza spagnola.
Un fatto di molta importanza fu poi l’affissione delle 95 tesi protestanti sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg nel 1517 da parte di Martin Lutero e che avrebbero poi scatenato un’ampia eco culturale per tutta l’Europa e mettendo in dura crisi l’autorità pontificia; per fronteggiare questa crisi vi fu il Concilio di Trento (13 dicembre 1545-4 dicembre 1563) al cui termine la Chiesa venne proclamata diretta ed indispensabile intermediaria fra Dio e gli uomini, soprattutto per quello che concerneva l’interpretazione delle Scritture le quali però, diversamente dai protestanti, non erano considerate le uniche fonti della fede, ma erano integrate dalla tradizione derivante da Cristo e conservate dalla Chiesa.
L’Inghilterra attraversava l’età elisabettiana e nel XVI secolo acquistò sempre maggior potere nel quadro delle nazioni europee, anche con la sconfitta inferta alla spedizione navale spagnola della “Invencible Armada” nel 1588.
La Francia, con Enrico IV (1589-1610) venne emanato l’Editto di Nantes (1598) che conferiva   libertà di culto agli ugonotti e permetteva loro di mantenere un certo numero di fortezze armate.
Gli anni della giovinezza
Galileo Galilei nacque a Pisa, nel 1564 da una famiglia di mercanti abbastanza agiata, suo padre Vincenzo (1525ca-1591) fu un famoso liutista e occupò un ruolo di un certo rilievo nella vita musicale del periodo; oggi è ricordato per la pubblicazione di numerose opere teoriche, soprattutto il  “Fronimo” (1568)  ed il “Dialogo della musica antica et della moderna” (1581). Il giovane Galileo intraprese nel 1581 a Pisa gli studi di medicina che tuttavia interruppe senza laurearsi, ma venendo comunque a contatto con studiosi di grande levatura come Francesco Buonamici, un buon commentatore di Aristotele, ed acquisendo privatamente un considerevole bagaglio culturale nel campo della geometria.
Proprio il Buonamici giocò un ruolo di una certa rilevanza nel pensiero di Galileo per la notevole importanza che egli attribuiva all’esperienza la quale, come vedremo, è uno dei cardini del pensiero galileiano; in particolare Buonamici riteneva che alla metafisica non spettasse il compito di trovare le basi della filosofia naturale o di investigare sul pensiero matematico, ma potesse essere complementare ad esse per trovare le cause e, in ultima istanza, Dio stesso. Il primo evento che portò il giovane Galileo a guardare il cielo fu una cometa che egli vide nel 1577 da Firenze o, più probabilmente, da Vallombrosa, ma non sembra che il giovinetto tredicenne ne fosse stato spinto ad occuparsi di astronomia in maniera più approfondita in questo primo momento. La prima volta in cui Galileo sentì parlare di Copernico e del suo eliocentrismo fu durante gli anni dell’università, nel 1584 o nel 1585, durante una lezione sul De caelo aristotelico. L’ipotesi dell’eliocentrismo, ossia del sole al centro di un sistema composto dai pianeti che vi orbitano intorno era per la verità molto antica risalendo alla scuola pitagorica ed era stata portata nuovamente in auge da Copernico nel suo trattato nel 1543 soprattutto a causa di un problema (più che altro filosofico) che era presente nel modello tolemaico. Questo era costituito dalla teoria degli epicicli i quali erano un artificio matematico ideato da Tolomeo che permetteva di spiegare le osservazioni dei moti dei pianeti rispetto alla volta stellata le quali a volte non si presentavano affatto come rettilinee e contraddistinte da velocità costanti, ma sembravano comporre dei nodi e degli occhielli nel loro tragitto; Marte in particolare si presentava con un movimento apparente abbastanza complesso. 
Il moto apparente di un pianeta può essere visto come la composizione di un moto circolare (epiciclo) attorno ad un'orbita principale (deferente)
Per spiegare questi movimenti e per permettere di compiere delle predizioni precise, Tolomeo aveva pensato di far muovere i pianeti non proprio in moto circolare uniforme attorno alla Terra, ma su di un insieme di cerchi (gli epicicli) il cui centro era situato sull’orbita principale di rivoluzione.  La posizione del pianeta poteva essere calcolata in maniera semplice adottando un artificio noto come composizione dei moti, ossia “sommando” il contributo dell’orbita principale con quello degli epicicli e tutta la teoria forniva predizioni abbastanza accurate delle posizioni dei pianeti all’interno della volta celeste. Sotto questo aspetto, la tesi fornita da Copernico non consentiva di migliorare sensibilmente la precisione dei calcoli, ma evitava l’uso del meccanismo degli epicicli in modo da restituire, in nome della migliore ortodossia aristotelica la quale lo considerava privilegiato, il moto circolare uniforme ai pianeti. Bisogna puntualizzare però che il libro di Copernico, il De revolutionibus orbium coelestium, fu pubblicato quando l’autore era ormai morente e vi fu aggiunta un’introduzione scritta da un teologo di nome Osiander in cui si asseriva che “Non è infatti necessario che quelle ipotesi siano vere, anzi neppure che siano verosimili, ma basta solo che mostrino il calcolo in armonia con i fenomeni osservati”, insomma, lo scienziato è libero di fare cosa vuole giocando con la matematica purché rimanga ben conscio che non potrà mai pervenire alla verità alla quale si può accedere solo con la metafisica ed è racchiusa nei libri di Aristotele.
Come vedremo, il giovane Galileo non era di questo avviso… Un fatto in particolare fu determinante per il nostro scienziato contro l’incorruttibilità dei cieli propugnata da Aristotele, e questo fu l’apparizione di una supernova nel 1604. Una supernova è forse l’ultima grande manifestazione di una stella morente, oggi si pensa che, alla fine del combustibile nucleare, stelle aventi una massa compresa fra certi limiti tendano a collassare su se stesse, per poi esplodere violentemente rilasciando quantità di energia enormi in periodi straordinariamente brevi.

Il sistema solare nell’ipotesi di Tycho Brahe; attorno alla Terra orbita la luna ed il sole, attorno al quale invece si muovono gli altri pianeti. Il modello ticonico rappresentava un tentativo di conciliare le ipotesi classiche di fissità della terra con la semplicità concettuale del modello di Copernico.
Queste esplosioni sono probabilmente gli eventi più violenti di tutto l’universo e sono a volte visibili da terra presentandosi come “stelle nuove” prima non osservabili, che tendono a scomparire nuovamente dopo un periodo di qualche mese. Di osservazioni di novae ve ne furono diverse nell’antichità, e qualche anno prima, nel 1572 un’altra fu osservata da Tycho Brahe. Il problema che si pose Galileo quarantenne fu quello di misurare la posizione di questa nova e poté appurare che essa era situata senza dubbio al di là della luna e non poteva essere affatto un fenomeno meteorologico; il problema non era per nulla ingenuo, la constatazione dello scienziato non era solo oggetto di discussioni tecniche fra filosofi della natura, ma minava gravemente alla base tutto il pensiero naturale aristotelico! Ovviamente questo non fece che rafforzare le convinzioni copernicane già radicate nell’animo dello scienziato e scatenò prevedibilmente feroci polemiche: il problema non era quello di determinare la natura di questa stella, ma il far crollare le basi di un sapere consolidato e millenario; si pensi a quello che si legge in un libello filogalileiano forse scritto dallo scienziato stesso: “Dove i matematici ragionan eglino in questo modo? Se loro si occupano solamente del misurare, che gli fa a loro s’e’ sia generabile o no? S’e’ fosse anche di polenta, non potrebbero essi sé più né meno prenderlo di mira? Oh, e’ mi fa proprio ridere con le sue ciarle” infatti, se si poteva appurare di aver assistito ad un fenomeno celeste e non metereologico, “tutta la filosofia naturale sarebbe una baia […] Cànchero, l’ha avuto torto questa stella a rovinare così la filosofia di costoro”.
 E’ abbastanza evidente in queste poche righe scritte con feroce ironia la base del pensiero galileiano: accontentiamoci di misurare i fenomeni, osserviamo con qualunque mezzo tutto quello che possiamo, cerchiamo di inserire in un contesto organico e coerente le nostre osservazioni (è qui che entra in gioco la matematica), in modo da poter formulare predizioni quantitative; non facciamo metafisica e non speculiamo su aspetti che non possiamo verificare. Il valore della scienza sta nelle predizioni che essa è in grado di fornire, e non nella spiegazione del perché dei fenomeni che avvengono; questo può apparire un modo di operare freddo e sterile a chi non abbia sviluppato una sensibilità scientifica, ma non lo è: come sosteneva una delle menti più versatili della fisica del XX secolo, Richard Feynman, la natura ha molta più fantasia di qualunque poeta o qualunque filosofo, si tratta solo di accostarsi ad essa in silenzio e, con umiltà, osservare… “La sconfinatezza dei cieli sfida la mia immaginazione; intrappolato in questo carosello senza fine, il mio piccolo occhio può scorgere luce antica di un milione di anni. Un enorme meccanismo -di cui io sono parte- laggiù sta eruttando all’unisono e, forse, la stessa materia di cui io sono composto è stata eruttata da qualche stella ormai dimenticata.
Oppure posso vederle con l’occhio più esteso di Palomar, mentre fuggono veloci da qualche punto comune in cui esse si trovavano forse tutte insieme…Qual è questo meccanismo, il significato, il perchè? Non arrechiamo danno al mistero conoscendone qualche dettaglio.”2. Ciò che colpisce di Galileo è la straordinaria modernità di quello che asserisce; secondo chi scrive egli merita forse di essere ricordato forse non tanto per aver scoperto questa o quella legge fisica (cosa che peraltro non mancò di fare…), ma quanto più nell’aver ideato il contesto culturale nel quale le stesse leggi andavano inserite.
La scoperta delle “stelle medicee”
Un eccezionale strumento di indagine nelle mani di Galileo diventò il telescopio a partire dall’estate del 1609, periodo in cui egli venne a conoscenza dell’esistenza dello strumento ed impiegò poco tempo a comprenderne il funzionamento ed a costruirne un proprio esemplare.

Disegni effettuati da Galileo durante le sue osservazioni della Luna.
 Galileo non fu probabilmente il primo ad usare il cannocchiale (esso era noto almeno dalla fine del 1500 e le lenti venivano molate abitualmente per la costruzione di occhiali) e forse neppure puntarlo verso il cielo, ma sicuramente fu il primo a capire cosa guardare; venne inoltre aiutato da un periodo di buone condizioni metereologiche che consentivano buone osservazioni. Il risultato delle sue notti insonni è il Sidereus Nuncius (1610), un’opera che avrebbe procurato un’immensa fama allo scienziato in tutta Europa, ma anche i primi guai con la Chiesa di Roma. In essa erano racchiuse, oltre ad una breve descrizione dello strumento, anche delle scoperte eccezionali, la prima delle quali riguardava la Luna. Essa infatti non si mostrava affatto come liscia ed uniforme, ma era profondamente increspata e le ombre osservabili con lo strumento lo rendevano molto evidente; tutto ciò contrastava ovviamente con la perfetta armonia dei cieli cristallini ed immutabili. Ma la scoperta di gran lunga più rilevante fu quella dei satelliti di Giove che egli battezzò “Stelle medicee”, in onore di Cosimo II de’ Medici, Granduca di Toscana; egli le osservò per la prima volta nel gennaio del 1610 e riuscì a calcolarne con considerevole precisione il periodo orbitale. Questo assestava ancora un duro colpo alle ipotesi aristoteliche perché uno dei punti a favore della fissità della terra era la difficoltà di pensare che un oggetto come la Luna potesse orbitarvi attorno se essa non fosse ferma al centro dell’universo; l’osservazione di “lune” di un altro pianeta dimostrava quindi la falsità di quest’argomentazione.
E’ facile comprendere come la portata di queste osservazioni fosse immensa, minasse ancora una volta alla base le tesi aristoteliche, e trascinasse in un oceano impetuoso di polemiche il loro per la verità poco diplomatico autore… Alcune delle critiche erano di tipo metafisico, del tipo: “Dio ha creato l’universo prediligendo il numero sette e pertanto i pianeti sono solo sette e le stelle medicee costituiscono un colossale abbaglio”, inutile dire che la penna di Galileo fosse piuttosto acida nel rispondere ad argomentazioni di questo genere! Altre accuse erano invece tutt’altro che infondate ed erano collegate al fatto che la prassi della costruzione del cannocchiale era ben nota (Galileo stesso era un eccellente costruttore di strumenti scientifici ed il suo telescopio era di qualità adeguata alla sua fama, anche se oggi sarebbe agilmente superato da un buon binocolo) ma non era conosciuta affatto la teoria dell’ottica geometrica che ne spiegava il funzionamento. Chi poteva dire che ciò che scorgeva il nostro astronomo non fosse un’illusione provocata dallo strumento?
In realtà, probabilmente lo studioso prese un po’ sottogamba le polemiche in cui era coinvolto, forse troppo fiducioso della protezione del Granduca fiorentino il quale però rimaneva comunque ben attento alla situazione politica…
Altre osservazioni compiute da Galileo furono quelle delle fasi di Venere e delle macchie solari; pure queste ultime costituivano un grosso indizio contro la solita tesi aristotelica dell’immutabilità degli oggetti celesti.
Il nostro studioso comunque da buon matematico noto solo in ambiente accademico si era trasformato in un personaggio molto chiacchierato e le sue prese di posizione contro i filosofi “in libris” che cercavano la verità fra le pagine dei testi gli procurarono, com’era prevedibile, ostilità molto accese e, non potendo attaccare Galileo sul piano scientifico, si passò alla religione. La Chiesa di Roma infatti era in pieno periodo controriformistico e, per evitare di perdere potere intellettuale e politico in Europa, seguiva una politica di repressione abbastanza pesante, come conferma la condanna di Giordano Bruno al rogo in Campo dei fiori a Roma nel 1600. L’accusa a Galileo fu iniziata in questa prima fase (vedremo la sconfitta definitiva dello scienziato circa vent’anni dopo) da un certo Ludovico delle Colombe, il quale era un personaggio alquanto bramoso di possedere la benevolenza dei potenti e forse suggerì per la prima volta la possibilità di fermare lo studioso con un discorso da un pulpito e non con una disquisizione sulla natura. Il problema non era impedire che Galileo vedesse, pensasse e traesse le debite conclusioni, ma era l’evitare che questi pensasse di poter scorgere la verità, ben custodita ed intoccabile nella metafisica, vista come l’unica via percorribile per il vero, ed oggetto delle dotte disquisizioni dei filosofi. Proprio quelli che egli attacca senza riserva di colpi!
Osservazioni compiute da Galileo sulle fasi di Venere; in alto si vede un disegno di Saturno (Galileo non riuscì ad individuare chiaramente l'anello)
Sembrerà strano, ma a tutt’oggi la situazione non pare cambiata di molto, almeno a sentire alcuni discorsi che purtroppo mi è capitato di ascoltare… Feynman dirà trecento anni dopo che “tutte le disquisizioni intellettuali che potete fare non riusciranno a comunicare ad orecchie sorde quella che è veramente l’esperienza della musica”.
L’opera di Ludovico e dei suoi seguaci contro Galileo viene chiamata congiura dei “colombi” e loro  dimostrarono di sapersi muovere con considerevole perizia nella situazione politica e diplomatica del periodo, aspetto che Galileo, probabilmente troppo fiducioso nella protezione del Granduca, forse trascurò alquanto. Un segnale di pericolo gli giunse però quando l’ipotesi dell’inconciliabilità delle tesi da lui proposte contro la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture venne riportata alle orecchie di Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana nonchè devotissima cristiana. Tale illazione non deve stupire: pensiamo a quanta fatica gli studiosi ed interpreti medioevali hanno dovuto fare per conciliare le ipotesi di Aristotele con la descrizione biblica ed ora saltava fuori uno che aveva la pretesa di stravolgere tutto come un immenso castello di carte!
La mossa era quindi astuta e poneva in pericolo il nostro studioso il quale, per cercare di difendersi in modo adatto alla politica ed alla diplomazia del periodo, inviò una lettera all’amico Benedetto Castelli in cui egli descriveva in dettaglio ciò che pensava sul rapporto fra scienza e fede; infatti il Castelli risiedeva presso la corte di Cristina e poteva far giungere, sia pure per via indiretta, la lettera di Galileo alla duchessa.
Il punto era l’intoccabilità delle Scritture per la materia di fede, ma la possibilità di interpretare i passi dedicati alla filosofia naturale in quanto, seppure ispirati da Dio, essi erano stati scritti in forma allegorica per lettori poco acculturati. Non bisognava pertanto prendere alla lettera le affermazioni relative alle questioni scientifiche, ma era opportuno interpretare con saggezza quei passi (che peraltro erano veramente pochi) i quali trattavano esplicitamente dell’organizzazione del creato. Nessun problema sorgeva fra teologia ed astronomia, ma si aveva un nettissimo contrasto fra metafisica e scienza.
La situazione iniziò comunque a precipitare quando nel 1613 un domenicano, tal Tommaso Caccini, pronunciò una violentissima invettiva dal pulpito di S. Maria Novella a Firenze contro la matematica (arte diabolica) ed i matematici (eretici) e tale predica, che ovviamente non fu opera dell’iniziativa privata del frate, si fece sentire fino in Vaticano…
Non dobbiamo pensare comunque che Galileo, il quale era ovviamente al centro della polemica, non avesse amici; un frate, tal Padre Maraffi gli denunciò il proprio sdegno per la posizione di Caccini e per il fatto che avesse trovato orecchie disposte ad ascoltare proprio a Roma; inoltre Federico Cesi lo invitava a prestare estrema attenzione a non esporsi troppo in quanto Roberto Bellarmino, il cardinale che nel 1600 aveva avuto un peso considerevole nella condanna al rogo di Giordano Bruno, aveva dichiarato di non accettare le tesi copernicane che risultavano così pericolosamente eretiche. Intanto il Caccini andò in Vaticano ed espose le proprie idee di fronte all’Inquisizione. Nel 1615 una copia della lettera scritta dallo scienziato a Benedetto Castelli venne fatta giungere dall’Inquisizione a Roma, accompagnata da accuse scritte dal professore fiorentino Niccolò Larini e falsificata in diversi punti; comunque, data la gravità della situazione, il Sant’Ufficio diede l’ordine di rintracciare l’originale.
La questione venne chiusa da una lettera del cardinale Bellarmino al carmelitano Paolo Antonio Foscarini il quale aveva preso le parti di Galileo sostenendo la conciliabilità delle tesi eliocentriche con le Sacre Scritture, in cui era esposta con durezza la posizione ufficiale della chiesa: l’astronomo poteva dire quello che voleva nel momento in cui si trattava di fare calcoletti matematici, ma non poteva assolutamente pretendere di pervenire alla Verità la quale era, come al solito, raggiungibile solo con la metafisica aristotelica. Le dottrine eliocentriche erano così dichiarate pericolose e si mise in atto una pesante censura sulle opere di Copernico.
Il commento di Galileo su questa pesante sconfitta fu tanto breve quanto significativo: “mi vien serrata la bocca”, ma il Bellarmino gli affidò una lettera che lo salvaguardava comunque da accuse e da maldicenze: “il suddetto Sig. Galileo non ha abiurato in mano nostra né di altri qua in Roma, né meno in altro luogo che noi sappiamo, alcuna sua opinione o dottrina, né manco ha ricevuto penitenzie salutari né d’altra sorte, ma solo gl’è stata denuntiata la dichiarazione fatta da N. Sig. […] nella quale si contiene che la dottrina attribuita al Copernico sia contraria alle Sacre Scritture, et però non si possa difendere né tenere” . Il nostro studioso fu dunque costretto al silenzio e, per sbarcare il lunario, cercò di utilizzare il telescopio per altri fini diversi da quelli accademici; è in questo periodo che tentò di sfruttare le prospettive economiche offertagli dalla costruzione di cannocchiali ed altri strumenti

Note:

1 - Ad un osservatore moderno, la fisica pregalileiana può apparire semplice e puerile; in realtà essa è stata parto doloroso di molte generazioni delle migliori menti del panorama culturale da Aristotele al Rinascimento. La vera portata della rivoluzione galileiana non può essere compresa se non insistendo sul radicale cambiamento di vedute introdotto: da una studio qualitativo si passa ad uno quantitativo. La matematica rappresenta dunque la chiave di volta di un nuovo sistema che si sviluppa a partire dallo scienziato pisano. Per un'interessante discussione su quest'argomento, si veda “A l'aube de la science classique” in [Koyré].
2 - Da [Feynman]



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